Un artista col numero 10

Un artista col numero 10

Pierpaolo Pasolini disse una volta: “Il calcio in Europa è prosa, in Sudamerica è poesia”. Una bella immagine, ma voglio andare un po’ più in là: il calcio in Sudamerica è arte.

Il calcio sudamericano coi suoi campioni dipinge storie, declama poesie, regala frammenti di eternità.
Per questo Diego Maradona è stato molto più di un calciatore, molto più del “miglior giocatore di sempre” (è molto probabile, anzi quasi certo ma non ho mai creduto molto a queste classifiche).
Maradona è stato un artista, un artista geniale, capace di trasformare in realtà quello che sembrava impossibile.
Ha trasformato se stesso, un bambino nato in assoluta povertà in un sordido sobborgo di Buenos Aires, nel simbolo assoluto di una città e di una nazione. Sul campo ha vinto un Mondiale praticamente da solo, ha vinto uno scudetto laddove sembrava impossibile vincerlo, e poi per dimostrare che non era un caso, lo ha vinto di nuovo.
Più volte si è insistito, non senza ragione, sulle sue debolezze, i suoi vizi, le sue cadute, sui tanti aspetti del suo modo di essere e di vivere che hanno spinto molti a dipingerlo come un esempio negativo.
Filosoficamente si potrebbe rispondere che in ognuno di noi c’è un “hero” e un “villain”, uno yin e uno yang. Così soprannaturale nelle sue doti e così umano nelle sue cadute, così amato e così detestato, Maradona è stato straordinario proprio perché, in fondo, era in parte quello che ognuno di noi è, e in parte quello che tutti avremmo voluto essere: un grande campione, capace (era parte del suo modo di essere, e questo a mio parere lo ha reso davvero grande) di impegnarsi per fare grandi i più piccoli, giocare per dare gioia agli ultimi, per riscattare i “dimenticati”.

Ci sta, a questo punto, di raccontare un episodio, abbastanza noto, ma non famosissimo, che forse più di tutti esemplifica quel che era l’uomo, così tanto criticato.
Inverno 1985. Diego è a Napoli da pochi mesi, e la squadra quell’anno non va nemmeno benissimo.
Un compagno di Diego, Pietro Puzone, ha un conoscente che si ritrova un figlio gravemente malato, a cui non può garantire le cure di cui avrebbe bisogno. Come aiutarlo?
Puzone pensa a una partita di beneficenza, da giocare sul campo di Acerra, e ne parla al presidente del Napoli, Ferlaino, che però si oppone fermamente. Il rischio che qualche giocatore del Napoli, giocando su un campo ai limiti (e forse oltre) della decenza possa farsi male, e in quel momento c’è ancora una salvezza da conquistare.
Allora Puzone ne parla a Diego.
Diego, quando era arrivato a Napoli, in estate, in una delle prime interviste, rispondendo alla domanda “Cosa vorresti essere per questa città”, aveva detto: “Vorrei diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perchè loro sono come ero io a Buenos Aires”.
Anche Maradona ne parla con Ferlaino, ma il risultato è lo stesso di Puzone: la risposta è no. “Se ti fai male, come facciamo? E poi, sei assicurato con i Lloyds di Londra, ma per la partita di Acerra non ti coprono. Non fare cazz…“.
Maradona risponde solo: “I Lloyd di Londra si fottano. Dobbiamo giocare per quel bambino“.
E pochi giorni dopo, l’impossibile accade.
Acerra è scrostata e sgarruppata, come tutti i giorni. In più fa un freddo polare, piove e un vento gelido ti taglia in due.
E lì, al campo di Acerra, circondato di automobili disposte in doppia e tripla fila, forse anche una sopra l’altra, su un campo in terra diventato di fango, Diego è in campo, e con lui il Napoli.
Intorno, non c’è più posto nemmeno per stare in piedi: i social non sono ancora nati, ma chissà come tutta Acerra, tutta la Campania, hanno saputo della partita.
Nel fango, Diego corre, si dimena, si impegna più di tutti. Prende anche un paio di calcioni, rischia di farsi male, si copre di fango. Un compagno gli dice di andarci piano, tanto ormai l’obiettivo della partita, raccogliere fondi per il bambino, è stato raggiunto.
Diego lo zittisce: “Tu non hai capito chi è Maradona, io gioco solo per vincere qualsiasi sia l’avversario. Per me, e per rispetto di chi si prende la pioggia per venirmi a vedere“.
Lo so, pensando al calcio di oggi è una storia che non sembra neanche vero, ma lo è.
Guardare per credere(https://www.youtube.com/watch?v=O4AqxP9WIoU&feature=emb_logo).

Diego Maradona non era un santo, era un uomo.
Non era un calciatore, era un artista.
E oggi, 25 novembre 2020, non è morto: è diventato immortale

Massimo Prosperi

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