Juve, storia di un grande errore
Quando i risultati sono al di sotto delle aspettative, quando esci sconfitto per demeriti tuoi prima che per meriti altrui, ogni volta che ti poni un obiettivo e lo trasformi in ossessione senza riuscire a concretizzarlo, non hai che due opzioni. Puoi trovare una scusa alla tua incapacità, un arbitro con un bidone dell’immondizia al posto del cuore, un complotto dei vegani (quelli di Goldrake, sia chiaro), il peso politico dei tuoi dirigenti o l’evergreen chiamato “maledetta sfortuna”. Oppure puoi chiederti, seriamente, dove hai sbagliato e come risolvere la situazione.
Nel 99% dei casi il passo successivo è l’esonero dell’allenatore e, spoiler, anche questa storia prevede che il finale sia questo.
Ma questa storia, quella della strana coppia Sarri-Juventus, è una storia in cui l’esonero dell’allenatore nasconde un errore più grande e più in alto compiuto da qualcuno che, probabilmente, ha peccato di presunzione, di quella presunzione tipica dei vincenti per caso. E che, spoiler numero 2, non può certo esonerarsi da solo.
Ma torniamo ai fatti, che parlano di una eliminazione dalla Champions da parte della squadra piu debole tra tutte quelle qualificatesi agli ottavi. Settimi classificati in Ligue 1, una squadra quadrata con una grande individualità, quell’Aouar che a breve verrà conteso da tutti i top team europei, una ex promessa in cerca di rilancio, quel Depay che il ManUtd pagò a peso d’oro dal PSV prima di disfarsene quasi per disperazione, e un tecnico troppo presto bollato come mediocre, l’ex romanista Garcia, i francesi dell’Olimpique Lione erano stati salutati, giustamente, come il migliore dei sorteggi possibile. Come l’Ajax un anno prima, con lo stesso finale ma, magra consolazione, senza l’umiliazione tecnico tattica impartita dagli olandesi. Il che, va detto, è solo dovuto al fatto che l’OL è, a parte le eccezioni appena citate, veramente poca cosa. Al netto degli avversari, la Juve eliminata lo scorso anno non ha reso certo peggio di quella attuale e in un processo al tecnico questa dovrebbe essere l’unica cosa rilevante, se non fosse per la cornice di mistica rivoluzione in atto che è stata costruita sulla scelta di Sarri. Che poi il buon Maurizio abbia pagato il non decollo prima e il tracollo poi del progetto tecnico, indipendentemente dall’eliminazione dalla Champions, è una cosa che, come detto, rientra abbondantemente nei cliché di ogni debacle.
Al tecnico toscano è stato chiesto di vincere, di proporre un calcio moderno e offensivo, di mutare il DNA di una squadra che praticava un calcio solido, in cui l’organizzazione è ridotta al minimo indispensabile e in cui sono i solisti a decidere. Il risultato è stato quello di un ibrido privo di forma, che ha costretto Sarri a venir meno a molte sue idee pur mantenendo alcuni principi imprescindibili che raramente i giocatori in campo sono stati capaci di attuare. Giocatori che, a un certo punto, sono sembrati non aver alcuna fiducia nelle idee del mister arrivando, in alcuni casi platealmente, a mostrare forti perplessità.
Già, perché, come tutti sapevano, per dar modo a Sarri di fare il suo calcio andava modificata profondamente la rosa della Juventus, cosa che non è stata fatta, per mancanza di opportunità e di scarsa capacità, diciamolo subito. Che poi a Sarri venga giustamente imputato il non decollo prima e il tracollo poi del progetto tecnico, indipendentemente dall’eliminazione dalla Champions
Ha pagato Sarri e non è detto non paghi Paratici, che assieme al vicepresidente Nedved, impose la sua visione alla proprietà, una visione che, a conti fatti, si è rivelata piena di falle. Età media altissima, giocatori a fine corsa (Khedira), poco funzionali al progetto (Matuidi) o fuori dallo stesso (Higuain) che non si è potuto cedere per mancanza di acquirenti e con stipendi elevatissimi (solo i 3 citati pesano a bilancio per piu di 30 Milioni di Euro), due parametri zero per lunghissimi tratti inadeguati alle necessità della squadra, un terzino destro di riserva costato (per esigenze contabili, senza dubbio) 40 milioni e il tentativo di piazzare ovunque il secondo miglior giocatore di questa squadra, decisivo per la conquista dell’unico trofeo vinto in stagione, sono strafalcioni che l’acquisto di DeLigt, peraltro possibile grazie alla megacommissione del solito Raiola e a qualche accordo sulla futura cessione, non può compensare.
Come si è potuto pensare di mettere in atto un piano di rinnovamento senza dare al tecnico scelto i mezzi per poterlo attuare?
Tecnico che, come tanti suoi colleghi della nouvelle vague, necessita degli uomini adatti al suo spartito, non necessariamente i piu forti ma obbligatoriamente i più funzionali, in una visione del calcio monoteistica che richiede tempo, investimenti e forse anche capacità di gestione di un gruppo di alto livello, cosa che Sarri non sembra possedere. La scelta di Sarri e la conseguente formazione della rosa che gli è stata messa a disposizione sembrano, proprio per questo motivo, esser state fatte con leggerezza: utilizzando una frase del tecnico nella sua ultima conferenza stampa, sembra quasi che abbiano fatto tutto ciò da veri dilettanti e non da responsabili tecnici della prima squadra italiana.
Eppure, come detto all’inizio, il vero errore non è nemmeno qui, perché un passo più in alto c’è un uomo le cui scelte strategiche hanno generato um fallimento che, per le ambizioni e gli investimenti, è secondo solo alla scellerata stagione di Maifredi nel 90/91.
Andrea Agnelli verrà ricordato per una incredibile stagione di trionfi e questo non potrà mai discuterlo nessuno, una scalata che ha portato la Juventus a un passo dalla vetta d’Europa per due volte in breve tempo. Eppure, a posteriori, Cardiff sembra sempre più lo spartiacque tra una Juventus che sognava di essere grande e una Juventus ossessionata dalla Volontà di esserlo. Vincere non è più l’unica cosa che conta, conta di più primeggiare nei fatturati, nei numeri dei social, nel valore del brand, tutte cose per cui le vittorie, come insegna il Manchester United, sono utili ma non indispensabili. In questa ottica va letta l’operazione CR7, che, si badi bene, è il motivo principale per cui si sono vinti trofei nell’ultimo biennio, così come la scelta di un tecnico che garantisse più appeal al gioco dei bianconeri, dimenticando che certe scelte vanno fatte pensando al campo, alla funzionalità che hanno e, soprattutto a un progetto meramente sportivo che, al momento, a Torino non c’è.
Dire di voler acquistare giocatori “da Juventus”, come da parole del presidente, non vuol dire nulla se non far dichiarazioni a uso e consumo dei tifosi più incalliti, perché, contrariamente alle sue idee, i meriti sportivi si conquistano sul campo e non con la storia o i valori commerciali. Conta molto di più avere un progetto tecnico, senza rincorrere sarrismi, guardiolismi o kloppismi, ma scegliedo tecnici con idee forti e attuali, capaci di creare un contesto in cui i giocatori possano rendere al meglio, e scegliere i giocatori in base a questo, sceglierli al momento giusto, cosi da non sfondare le casse non certo infinite della società, e accettare di non vincere subito per vincere ancora.
Ripartire da CR7 stavolta potrebbe non bastare più