L come Liverpool, libri e letteratura. Una squadra non come tutte le altre
18 volte campione d’Inghilterra, con 7 FA Cup, 8 Coppe di Lega inglesi , 15 Charity Shield. Oltre la manica il club è riuscito a conquistare 6 Coppe dei Campioni/ Champions League, 3 Coppe Uefa e 3 Supercoppe Uefa. Bisogna poi dire che sotto la guida di Klopp il Palmares dei rossi britannici è in continuo aggiornamento e giocare in quel campo, sotto la Kop, non è cosa per tutti così quando c’è una sfida con le squadre italiane ogni incontro diventa leggenda: dal Genoa di Bagnoli, corsaro ad Anfield grazie a Skurhavy e Aguilera, alla finale dell’Olimpico contro la Roma decisa ai rigori, senza dimenticare le due finali Champions di botta e risposta con il Milan contraddistinte dal segno della rimonta.
Non è di certo una squadra comune il Liverpool e no, non è una squadra per tutti. Ma i Reds sono sicuramente uno dei team più letterari del mondo del calcio. La loro storia di grandi gesti e risultati sportivi ben si sposa con il pathos della letteratura, di pagine epiche e non mancano omaggi, citazioni, riferimenti. Tra tutte le storie dei libri dedicate al Liverpool spicca sicuramente “Red or Dead“, voluminoso romanzo di David Peace, già autore de “Il Maledetto United“. Il suo Red or Dead è un libro che racconta l’epopea di Bill Shankly, amatissimo allenatore scozzese che ebbe il merito di porre le basi della futura leggenda, facendo rinascere sportivamente la squadra.
Bill Shankly è una figura solida, tutta d’un pezzo, come gli uomini di un tempo e che vivono ormai solo più nelle pagine dei libri e che in questo romanzo incarna tutta l’anima Liverpool, rappresentando la fierezza di una città sempre pronta a rialzarsi. Il calcio qui è un’occasione di rivalsa per una città portuale prestata all’industria. Il gioco collettivo, fatto di sacrifici e di spirito fraterno, il noi che prende il posto dell’io, il rosso delle maglie… tutto non può che portare alla catena di montaggio, all’operaio Shackley seduto in panchina passato alla storia come il più rivoluzionario allenatore di campagna del calcio inglese, e non solo.
700 pagine per una saga che si dimostra, nella sua lingua, sempre uguale a se stessa e sempre diversa, proprio come il gioco del calcio per l’appunto dove 11 giocatori (o giocatrici) contro 11 avversari/e, insieme ad un pallone riescono a dare vita a storie sempre nuove, nonostante gli ingredienti iniziali di base sempre ripetuti. Il libro di Peace è un romanzo ossessivo nel suo ritmo frenetico che scorre con questo ritmo fino alla morte dell’allenatore, evento che accade però a circa 2/3 del libro, lasciando spazio a nuovi temi. L’ossessione si spegne però molto prima, lì, quando Shankly decide di ritirarsi dalla vita professionale. Quel che colpisce di questo romanzo, dedicato a un periodo importante della storia del Liverpool, è che i personaggi sembrano non diventare mai davvero protagonisti, conta l’insieme, la forza del gruppo, il motore sociale, ma restano semplici e anonimi ragazzini, ingranaggi di un gioco più grande di loro e una cosa del genere resta possibile solo a Liverpool e con il Liverpool. Di certo non a Torino e a Madrid dove si mettono in mostra star e starlette del gioco del calcio.
Senza andare a toccare la finale dell’Heysel e il libro di Veltroni (sentitevi liberi di leggerlo) passiamo invece a Nord dove a Karl Ove Knausgård nel suo memorial letterario norvegese intitolato “Ballando al buio” rende merito alla gloriosa storia di questa squadra, leggenda che è riuscita a illuminare le zone più remote degli animi abitanti nelle terre nordiche.
“Volevo rubare, bere, fumare hashish e sperimentare droghe, vivere fino in fondo un’esistenza rock’n roll, mandare nel mondo più assoluto e totale a fanculo tutto quanto e con tutto me stesso“, recita la quarta di copertina. Ma, sinceramente, cosa ci azzecca tutto questo con il calcio e con il Liverpool?
Il protagonista, ascoltando Brian Eno e David Byrne, My Life in the Bush of Ghosts, ripensa a un grande poster del Liverpool, di undici anni prima, stagione 79-80, che si porta sempre dietro, anche in questo suo nuovo trascolo perché, a suo dire: “Forse la miglior formazione di tutti i tempi. Ne facevano parte Kenny Dalglish, Ray Clemence, Alan Hansen, Emlyn Hughes, Graeme Souness, John Toshack“