Dopo 93 anni scocca ancora l’ora N, è sempre ora di Forza Napoli

Dopo 93 anni scocca ancora l’ora N, è sempre ora di Forza Napoli

“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è stato. E il mondo attorno a lui lo dimentica ancora più in fretta”. (Milan Kundera)

93 anni. Non 100, non 90 ma 93.

Pochi scudetti, qualche successo, una storia fatta di “lacrime e sangue” come direbbe Winston Churchill, dove i sacrifici sono molti in nome di una resistenza che è ancora molto lontana dai trionfi.

1 agosto 1926. il 1 agosto è anche la data dell’Insurrezione di Varsavia, la seconda, perché prima era già insorto il ghetto cittadino, lasciato al proprio destino. All’ora W a Varsavia si ferma tutto, suonano le sirene e la città resta in sospeso. Cosa ci azzecca questo con il compleanno del Napoli? Nulla, ma proprio nulla. Semplicemente, data a parte, nessun paragone sta in piedi. La storia si è divertita a scherzare, a scorrere in modi impropri lì e quando vuole. Questa è solo la mia personalissima ora W. Si rinasce attraverso i sacrifici, attraverso il sudore e la fatica.

Durante i miei pellegrinaggi, come Olga Tokarczuk insegna, l’unico vero compagno di fede è stato lui, il Napoli, con quella maglia azzurra capace di far entrare flebili bagliori di luce anche nei più grandi momenti di oscurità che possano attanagliare la vita di un essere umano. Chi ha amato me, ha amato anche il Napoli, per brevi o lunghi periodi. Agli amori della mia vita è toccato un po’ di tutto, dalle differite streaming di Pescara- Napoli dal laboratorio del Pinni Building a Tampere, a Crotone – Napoli con tanto di zuppa di farro preparata da me. Alla fine però il Napoli è famiglia. Vera, sentita, profonda. Così durante i miei turni lavorativi notturni, con meno 25 gradi fuori e con indosso solo il calore della polo celebrativa dei 90 compleanni azzurri, quando mi veniva chiesto: cosa ti manca? Rispondevo sempre due cose, cioè i caffè alle sette di mattina al bar con mio padre, grande tifoso azzurro anche lui, e le partite del Napoli viste assieme. Ne abbiamo vista qualcuna anche allo stadio. Il giorno che i genoani piangevano Signorini eravamo lì, a Marassi, insieme, a guardare Shalimov correre, non troppo, in azzurro.

L’era maradoniana era passata, non l’abbiamo vissuta insieme perché in Italia lo stadio non è mai stato un posto davvero per famiglie. A volte si diceva, scherzando ma non troppo, “sai se vai a vedere la partita ma non sai se torni”. Sentivo i racconti della colonia azzurra locale acquese. Ombrellate in testa, sacchetti di piscio lanciati. Non c’era niente di romantico, assolutamente, tutto diventava troppo tribale. Già tribale come solo la famiglia può e sa esserlo. Così quando il Napoli di Naldi fallì ero con mia nonna, lei per la prima volta in vita sua, una vita di sacrifici segnata dal terremoto dell’Irpinia, usava termini come “curatela fallimentare”. Questo per far capire come possa infilarsi sottopelle, in una famiglia, la passione azzurra. L’ultima volta che ebbi la fortuna di parlare con lei fu quando scappai al San Paolo, per la prima volta in vita, in occassione di Napoli-Chelsea. Mangiai a casa sua, nonostante l’età faceva ancora a mano la pasta, e poi scappai verso quello che era il mio tempio, troppe volte negato. Novanta minuti splendidi, dall’errore di Cannavaro a O surdato ‘nnammurato, che preferisco a Un giorno all’improvviso, per me è come se i Reds ad Anfield decidessero di non cantare più You Never Walk Alone. Il calcio è passione nel senso della tradizione, se si perde quello, si perde tutto.

Ma già l’abbiamo perso, in parte.

Oggi, amore mio, compi 93 anni. In tutta la mia squilibrata esistenza, mi sei sempre stato a fianco. Mi sono sempre rivolto a te nei momenti difficili così come tu ti sei rivolto a me nelle tue difficoltà. Ricordo che facevo il servizio civile, 90 euro al mese di paga, tolto i pasti, quando sprofondasti in serie C, Lega Pro o che altro. Ma sapevamo di non essere soli. Con due mesi di paga comprai le nostre due maglie, quella azzurra con la nuova denominazione e quella rossa da trasferta, personalizzata, con il mio cognome e il numero 10, in serie C non c’era la personalizzazione dei numeri, per sancire il nostro matrimonio. Oggi come allora, oggi come domani, oggi come sempre #ForzaNapoliSempre

Fabio Izzo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *