Gli anni dello Sputnik: la grande matita di Baru racconta il calcio dei piccoli

Gli anni dello Sputnik: la grande matita di Baru racconta il calcio dei piccoli
Gli anni dello Sputnik, graphic novel riproposta da Oblomov edizioni ha, nelle sue pagine, come miglior attore non protagonista, il gioco più amato del mondo: il calcio.
Raccontare con grande intensità le emozioni di questo sport non è cosa affatto semplice. Questo, nella storia, è stato un compito che è riuscito solo a grandi fotografi, grandi scrittori, ma anche grandi fumettisti, come nel caso di Baru, fumettista francese (all’anagrafe Hervé Barulea, classe 1947). Baru è figlio di operai, padre italiano e madre bretone. Fin dal 1984  ha portato nel fumetto il suo mondo. Un mondo schietto, sincero e diretto dove il calcio, soprattutto quello giocato negli anni della fanciullezza, la fa da padrone incontrastato.
Se in “Ovosodo”, pellicola di Virzì ambientata nella proletaria Livorno, il calcio, funzionava da motore d’avviamento per la vitalità del protagonista che, grazie al suo andare a recuperare un pallone uscito dal campetto, finiva con il scoprire la sessualità e la vita, ne “Gli anni dello Sputnik”, troviamo il calcio già a un livello successivo. Qui è catalizzatore, agente di socializzazione, fautore di prestigio, risulta infatti essere una forma societaria originale, scoperta da un gruppo di ragazzini, capitanati dal protagonista Igor, abitanti del piccolo paese di Sainte Claire, in Costa Azzurra, che in queste pagine scorazzano tra una vicenda e l’altra dall’infanzia all’adolescenza.
I protagonisti del libro sono personaggi dinamici, sempre in movimento e in mutamento, non solo sul campo, ma anche nei confronti degli schemi ideologici della loro tradizione storica e del loro contesto sociale contemporanei, in quanto bambini ancora in formazione ed estranei a qualsiasi tipo di dottrina. Questa opera ad acquarelli originariamente pubblicata più di 15 anni, raccontante la Francia degli anni 50, nonostante lo scorrere del tempo non perde il suo smalto. Il tema sviluppato, tra tiri con l’arco, costruzioni di razzi statellite (da cui il titolo dell’opera) e battaglie alla Molnar, in stile via Pál per intenderci, è quello dell’integrazione, unica risposta possibile all’immigrazione. L’ integrazione che passa e nasce proprio sui campetti di calcio, lì dove finiscono a giocare italiani, francesi, algerini e polacchi. L’episodio del calcio di rigore sembra poi uscire dalla pagine di “Splendori e miseria del gioco del calcio” di Eduardo Galeno, e se se i conflitti, i contrasti, le questioni territoriali e la lotta per la leadership riescono ad arrivare sui campetti, vediamo che tutto si dissolve, con l’arrivo della prima neve. Nel segno dello sport come splendido gioco, forma di riscatto e, soprattutto, grande metafora della vita.
 
Baru allo Juventus stadium
 
Le raffinate tavole de “Gli Anni dello Sputnik” sono state protagoniste della recente mostra “Gulp! Goal! Ciak. Calcio e Fumetti”, curata da Luca Raffaelli, recentemente ospitata allo Juventus Museum. L’esposizione dedicata al calcio e al fumetto era divisa in diversi capitoli:“Gli Eroi Calciatori”, raccontante personaggi di pura invenzione come l’inglese Roy of the Rovers di Walter Booth, Eric Castel del francese Raymond Reding e Capitan Tsubasa, amato nel nostro paese con il titolo di Holly di “Holly e Benji” ; “Calciatori per caso” era dedicato a personaggi celebri del fumetto che occasionalmente si sono ritrovati alle prese con un pallone (dai Simpson a Peppa Pig, da Asterix a Andy Capp, che ha il calcio come suo hobby) o con vicende legate al calcio (Diabolik); c’è una sezione dedicata al “Mondo Disney nel Pallone”, rivisitato attraverso le tante tavole o episodi in cui i personaggi Disney hanno avuto a che fare con il mondo del calcio; si passa poi a “I Nasi a sfera di Mordillo” che racconta come il grande autore argentino recentemente scomparso abbia saputo narrare il calcio nelle sue grandi vignette colorate; per arrivare, infine, alla sezione “I campetti nei romanzi a fumetti” dove l’opera di Baru ha trovato il meritato spazio.
 
Intervistato tempo addietro da Alberto Sebastiani, alla domanda, se esiste un potere della letteratura, l’autore francese ha risposto che, a suo parere. la letteratura e il fumetto non hanno la forza per cambiare il mondo. La loro funzione è invece quella di confortare chi ancora cerca di capire come vanno le cose. È una forma di resistenza, non una proposta, un modo per offrire una chiave di lettura del mondo, non per cambiarlo. Cultura e politica sono le due gambe di un corpo in cammino: se una manca, l’altra non va da sola. Nel 2010 Baru ha ricevuto il Grand Prix de la Ville d’Angoulême: il premio alla carriera più prestigioso in terra di Francia e pensare che a Lucca nel 2001, come riprendiamo da  un articolo di Giovanni Scalambra, il fumettista francese ammetteva di provare una sorta di vergogna nei confronti di generi “alti” come letteratura e cinema, una vergogna legata all’idea del fumetto come linguaggio infantile, da superare crescendo, ma anche intimamente collegata ai natali umili, che voleva dimenticare. Il calcio crossa, il fumetto fa da torre e Baru segna. 1 a 0 e palla al centro!

Fabio Izzo

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